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Posts Tagged ‘Finalborgo’

Domanda truffaldina: se il candidato sindaco ci promettesse latrine Sebach e posti auto dappertutto sul territorio arrampicabile locale, contribuire a farlo eleggere sarebbe un bene o un male?
Risposta sbarazzina: lo spirito corporativo del climber moderno mi pare un gran brutto affare.

“Negli anni ’90 c’era fermento politico attorno alle rocce che fino ad allora erano state frequentate e attrezzate esclusivamente dagli appassionati. Ogni ente locale non si era mai spinto neppure alla base delle pareti per capire e i ciclisti erano di là dal venire, ma il comitato di personaggi locali che si era costituito voleva entrare a gamba tesa nelle faccende dei climbers. Bisognava fronteggiarli dando una certa credibilità agli scalatori che presto si sarebbero seduti al tavolo della prima riunione con assessori, imprenditori locali e azzeccagarbugli d’ogni sorta. (…)
Ci dava molto fastidio che quelli che fino a pochi giorni prima avevano ignorato scalata e scalatori, volessero improvvisamente entrare nel nostro mondo senza conoscerne le regole mai scritte, solo perché si erano accorti che rappresentavamo un business e un’ottima alternativa invernale ai bagnanti.”
(Marcello Cominetti)

“il fenomenale incremento di fruizione dell’arrampicata sportiva sta producendo cambiamenti imprevedibili. Da grandi opportunità a grandi disastri. La comunità arrampicatoria non può rimanere disgregata e senza voce, semplice spettatrice passiva delle singole originalità politiche. (…) Non si può avere una totale assenza di interlocutori istituzionali per l’arrampicata sportiva verso gli amministratori pubblici. Il movimento non può continuare a rimanere slegato e senza riferimenti.”

“Chi amministrerà il comune per i prossimi 5 anni?
Finale diventerà veramente una capitale dello sport outdoor come è scritto sui cartelli stradali?
Alle prossime elezioni 5 liste in lizza e 5 potenziali sindaci.”

“Chi vota convinto di poter cambiare qualcosa, sia a livello locale, nazionale o continentale è solo un illuso, per non dire altro.”

Ancora qualche ragionamento di ordine morale a partire dal noto pasticciaccio finalese, divenuto ormai una questione di pura politica e di rinnovata partecipazione democratica, altrimenti detta: un fatto di mera (diretta od indiretta) convenienza. Comprensibile e ragionevole è che ci si interessi collettivamente al destino di una attività tanto importante per il territorio; meno entusiasmante giudico che una passione di fuoco si possa ridurre all’atto moribondo della deposizione di un’anonima X nell’urna mortuaria-elettorale, per il solo proprio tornaconto categoriale, senz’altro interesse che non sia legato al movimento di denaro e di risorse in verticale.
Quali “servizi e infrastrutture” servano, peraltro, non mi è chiaro. A parte rari casi (lo strafrequentato vallone di Monte Sordo soprattutto), il parcheggio non è mai stato un problema. Al cesso so come e dove andare senza far danno, e ritornando anzi coi rifiuti altrui. Di negozi specializzati è piena Finalborgo, sono pure troppi: da borgo storico con qualche vetrina è diventato un centro commerciale a forma di paesino. Il Finalese non è la Sardegna, nè Kalymnos: non si muore di fame, nè ci mancano le strutture su cui arrampicare. Se siamo ridotti ad elemosinar fittoni è solo perchè non siam mai stati comunità reale, e siamo cari a chi ci deve in qualche modo guadagnare. Credere che la politica, ancorchè a livello locale, possa servire a qualcosa è non solo illusorio ma fasullo; specialmente dopo decenni di cartellonistiche danneggiate, targhette rotte e gomme bucate. Capisco il tentativo di ricerca di un minimo di serietà e di trasparenza, non accetto l’aggrapparsi fiducioso e acritico alle parole e alle promesse; una cosa è il dialogo con un interlocutore inevitabile, altra cosa l’affidamento speranzoso od utilitaristico alle solite parole, sempre le stesse. Il nostro è (era, sarebbe, speravo fosse) un mondo in qualche modo altro rispetto al solito teatrino in cui invece anche noi oggi, volenti o nolenti, ci siamo ritrovati. Possibile che ancora non ci si sia stancati delle polemiche, delle parole grosse, delle noiose schermaglie che questi figuri ottimi nell’interpretazione attoriale continuano a praticare, sostenuti finanziariamente da strutture di potere nei confronti delle quali non osiamo dire né aba? Davvero a questo ci siamo ridotti, a questo modello di democrazia medioevale in base al quale converrebbe ingraziarsi il politicante, ancorchè coglione, che ci promettesse in via caritatevole l’elargizione di qualche doblone?!

Comprendo lo spaesamento che si prova nel ritrovarsi impotenti e disuniti dinanzi a scelte incomprensibili da parte di forze incontenibili, ma non riduciamoci a ragionare soltanto in soldini, che non sempre riceveremo, od aiutini per averla sempre vinta; piuttosto, in soldoni, una occasione mi sovviene in cui l’intervento delle istituzioni può tradursi in impegno sostanziale, ed è quando il moderno climber si fa male. A Kalymnos, ultimo scampolo di presunta civiltà, si sono autorganizzati volontari locali, con mezzi ridottissimi e reciproca soddisfazione; nel terzo mondo chiamato Liguria, invece, ho assistito personalmente a scene penose di pesanti aiutanti sperduti arrancanti sui sentieri e soprattutto all’annosa polemica (non ancora conclusa, nonostante la pressione sindacale) sugli elicotteri contati con due dita di una mano, con tutto lo strascico che ne consegue, fra denunce di tagli ai servizi pubblici e maliziose opportunità di privatizzazione, le indagini affidate ad un Procuratore, e l’infortunato contribuente lì acciaccato ed imbragato ad aspettare ore.

Per la cronaca (a dire il vero un po’ datata): circa due anni fa i cittadini di Finale Ligure sono stati chiamati alle sacre urne per le elezioni comunali, ed è stato riconfermato il sindaco già in carica, candidato con una lista civica ufficialmente “da sogno e apartitica”, in realtà appoggiata dal Partito Democratico, il solito incubo. Per quanto fossero alte le aspettative, e per altre attività boschive non manchino i fondi, sembra un dato di fatto che nessuno si degni d’interessarsi all’arrampicata sportiva. Non mi rammarico di ciò, nè mi stupisco che i soldi finiscano a spostarsi decisamente più verso la riva.
Solo, a chi ancora ci sperava dico: per questa volta passi…ma non mi si venga poi a spiegare che la politica non c’entra coi sassi.

(foto tratta da Savonanews)

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Da domani (ma forse già fin d’ora), tutti leghisti!
Mi ci gioco le scarpette, prima di appenderle al chiodo.
Il pensiero che non mi rincuora è, venendo al sodo: che sia già l’epoca dei giochi di potere anche nella verticale?

“in questi giorni non si parla di Finale come si dovrebbe. Non si parla di calcare. Non si parla delle bellissime vie possibili. Si parla di presunte lotte fra climber e associazioni ambientalistiche. Si parla di giochi di potere. Si parla di tutto tranne che di roccia.”

“anche i climbers sono tanti e votano.”

Ricordate il prode difensore degli arrampicatori (e dei cacciatori) dall’attacco della lobby ambientalista? Il politico verde oggi si riconosce dalla tessera di partito, mica dalla coscienza ecologica. Quanto al climber, il suo miglior difensore spero proprio non debba essere un ottuso regionalista padano; nè evita l’errore il buon Andrea Gallo, nome mitico e nume tutelare del Finalese verticale, nel pensare che lo scalatore d’oggi gli possa in qualche modo somigliare. Son passati i tempi ed oggi solo l’egoismo ha vinto su ogni altro valore. E’ l’egoismo a spingere il leghista imbragato a dar battaglia a negri e ad avvoltoi, per concedere al climber imbranato di potere anch’egli farsi allegramente i fatti suoi, senza trovar nidi con ovetti per cui provar pena, e senza che nessuno gli possa chieder l’elemosina in catena, od all’ingresso serale a Finalborgo, rovinandogli la cena.
Ed è sempre l’egoismo a spingere il praticante medio a lordare il paradiso terrestre di cui può godere, e che dovrebbe difendere a spada tratta se davvero vi tenesse; solo a tenersi in forma invece quello pensa, e tutt’al più ad unirsi in associazione con energumeni simili a lui, al fine di difendere ancora maggiormente il proprio interesse.
Prendo amaramente le distanze dagli uni e dagli altri.
Non credo che la politica debba essere un gioco di ricatti, nè mi basta che si risolva in uno scontro fra piccoli poteri, con piccoli vantaggi dedicati ad i più scaltri o ai meno seri.
Purtroppo anche i climbers votano, temo sia vero, e per fortuna non so come e cosa; procederei pei boschi col falcetto altrimenti, e non per farmi strada fra la vegetazione irta e spinosa.

Mentre a Toirano – zona ancora in fase di espansione – il gruppo di arrampicatori e chiodatori locali scomoda le amministrazioni (leghiste, pure qui, e ben poco green) ad interessarsi allo sblocco dei divieti di chiodatura relativi a certe parti della valle del Vero, nella vecchia Finale succede l’opposto: ovvero, sono le amministrazioni del luogo, assieme al Club Alpino e ad alcuni (supposti) ambientalisti, a denunciare il problema dell’eccesso di chiodi infissi sulle pareti della zona.

Dovrei in teoria inneggiare alla modalità anarcoide con cui chi chioda le falesie si muove liberamente, spesso senza chiedere permessi o consultare enti territoriali; denunciare, come fa Gallo, l’ipocrisia di istituzioni locali ed ufficiali come il CAI, che dando un colpo al cerchio e uno alla botte si muovono subdoli senza far ben capire in quale direzione; e caldeggiare una difesa strenua ad ogni livello del nostro particulare…se non mi preoccupasse invece l’atteggiamento di chi ci patisce, poverino, che gli tocchino il giochino, finendo per attaccarsi al treno veloce delle rivendicazioni politiche più minime e meschine.
A quarant’anni vedo il mio futuro come un insieme di falesie la cui infinità d’itinerari non riuscirò mai a completare; dunque, perchè mai si dovrebbe continuare a chiodare? Per i nuovi arrivati, si dice. Per consentire a tutti d’avere un terreno di gioco. Sembra altruismo, e invece è primariamente profitto, opportunismo: il solito discorso dell’indotto, dello sport-alternativo-ormai-quasi-massificato che ha trasformato un borgo delizioso in un centro commerciale per milanesi annoiati (ma anche per liguri con manie di grandezza), red carpet incluso ed inclusivo di maltolto. Il problema nella sua interezza è inesistente e già risolto: che i climbers e gli ambientalisti si parlino, come è sempre stato fatto, senza necessità che vengano lanciate provocazioni, polemiche e allarmismi a mezzo stampa. Vero è che siamo forse diventati troppi, in un ambiente limitato, a volere usufruire delle stesse bellezze naturali: climbers, bikers e trekkers si contendono il parcheggio a Monte Sordo nel weekend, e nelle feste “sembra di essere all’Ikea” od alla Fiumara.
Si stava meglio quando si stava peggio, quando l’arrampicatore era uno strano, strambo, un poco matto, merce rara. Il chiodatore allora inseguiva un proprio sogno e non le più recenti necessità indotte più o meno a forza dal mercato dell’outdoor. C’era posto per tutti, bestie e cacciatori inclusi, semplicemente perchè s’era in pochi. In merito a questa evoluzione/involuzione ho spesso detto, e non è il caso che ogni volta mi si richiami all’ordine della dittatura democratica per cui si dovrebbe garantire a tutti il diritto alla scalata. Non prendiamoci in giro. Questo sport è stato banalizzato e raccontato come fosse tutt’altra cosa per poter vendere scarpette e imbragature, non ci son diverse spiegazioni o sono tutte fregature. Quando scalavo io, ai tempi della prima palestra d’Italia al liceo King mi guardavano come un cretino ed un marziano, e certo la cosa ha contribuito a farmi crescere adolescente pieno di problemi. Ma bisogna essere scemi per non accorgersi che mode e tendenze son tutte sospinte da un sistema di coercizione sorridente che non ti spiega niente al di là del concetto di divertimento, e del tuo presunto diritto allo stesso. L’arrampicatore idealista e rispettoso che descrive Gallo è ormai quasi estinto, non più riproducibile. L’arrampicatore moderno facilmente sgarra e se ne frega del prossimo suo (alla faccia della comunità) e anche delle regole condivise; per lui esistono solo il grado su cui discettar per ore e la scorecard da aggiornare. Più sento parlare i climbers, ad esempio dei limiti loro ingiustamente imposti, e più divento birdwatcher. Vero è che talvolta, come spesso in questo paese, far rispettare certe regole diventa esercizio grottesco e ingiustificato, come quando volarono le multe nell’albenghese senza che nessuno avesse mai visto più d’un uccellino. Ma quando ti cali a fianco ad una via con un bucone, come mi successe a Cucco, e da quel nido fugge spaventato un volatile facendone cascare un ovetto che si sfracella al suolo…capisci d’esser tu nel posto sbagliato, e non loro ad aver occupato un attico vista mare senza rispetto dell’altrui proprietà. Il cadaverino rosa venne lanciato nel bosco senza troppo riguardo, con appena un minimo di commozione, e poco dopo altri climbers rapaci si preparavano ad affrontare il tiro. Il Rockstore tempo addietro mise un avviso alla partenza di Vivere di rabbia al Solarium (o Specchio) di Monte Sordo: la differenza fra le passioni si vede pure da queste piccole attenzioni ed auto-limitazioni. Perseverare nella difesa dei propri esclusivi voleri, trasformandoli in diritti, è atteggiamento tipico di un certo fascioleghismo attuale, che si sta diffondendo a macchia d’olio ed è facile capir perchè. Andare incontro alle esigenze altrui è comportamento ormai inusuale, fuori moda, sconveniente. Meglio difendere la cosiddetta e supposta propria gente, attività questa assai proficua a livello del politicante, che diventa punto di riferimento di un’èlite fra tante. Ebbene, oggi che siamo tanti e pretendiamo di contare, di levare alta la nostra voce, siamo anche noi un’èlite arrogante che conta solo in quanto spende, uomini valutati in base al portafogli che mantiene in piedi un’economia di nicchia, la quale peraltro sopravviveva anche prima ed ora vive solo una rincorsa al soldo, pur non patendo esattamente i problemi di Kalymnos. L’outdoor è puro business, la chiodatura sfruttamento delle risorse naturali, l’arrampicatore automa; e il tutto mantiene degli antichi valori condivisi solo un pallido ricordo. L’autonomia ed il senso di responsabilità dei climbers, tanto decantati, davvero hanno bisogno di un aiutino politico e della minaccia elettorale? Davvero contiamo in quanto votiamo, e nulla più? Davvero abbisogniamo di questi mezzucci, e ne vogliamo approfittare?
Vorrei proprio capire se anche i climbers, come quasi ogni altra categoria sociale che si rispetti – o meglio, che intenda farsi rispettare (esclusi quindi questuanti, zingari, immigrati e poche altre minoranze) – intendano abbassarsi a buttare in politica anch’essi il proprio patetico, frustrato e sfrontato egoismo di categoria: l’ennesima difesa corporativa; oppure se vogliano, almeno loro, evitare questa squallida deriva.
Se dal coraggioso (benchè poi smentito) ‘manifesto dei diciannove’ siamo discesi al livello delle roboanti dichiarazioni di Rixi una o più ragioni storiche ci devono pur essere, e non è difficile risalirvi. Occorre però farlo per evitare che il nostro entusiasmo si suicidi annegandosi nella torbida palude degli interessi privati, dove si raccolgono gli istinti animaleschi e si scontrano le ottusità di uomini ormai allergici al confronto, a meno che non sia battaglia mediatica di facciata, messinscena ipocrita, teatrino demenziale di una politica in picchiata verso un gran finale pessimo: quello in cui la mia passione sarà regolata, carezzata, blandita, incasellata; difesa da figuri con i quali nulla vorrei avere a che fare, che a stento c’entrano qualcosa con (i valori per me ancora insiti nel)l’arrampicare.

(foto tratta da Genova 24)

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