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Archive for aprile 2022

I_buoni_BonoVox_Louis_VuittonCome una gara va a fortuna, e si spera duri chilometri: è la vita che abbiam da consumare, assieme al battistrada.
Non ci facciamo mancare niente, neppure il televoto: chi vuoi eliminare, Andrada o Sharma? Sasha o Daila? Siamo climber o macchiette, atlete o starlette?
Dichiaro la schiavitù da consumismo ‘alternativo’ ufficialmente conclamata: inneggeremo alla vertical economy ed anzichè Il Sole 24 Ore leggeremo il Climbing Business Journal.

“(…) non parliamo di evasione. E’ assolutamente aliena da noi qualsiasi ipotesi che consideri la montagna come terreno di evasione dal sociale. Ci rifiutiamo di spingere la gente in montagna solo perchè si svaghi e rabberci in qualche modo le pecche di un sistema produttivo irrazionale.” (Roberto Mantovani, Rivista della Montagna n.50, 1982)

“La casa automobilistica e il brand multispecialista per gli sport di montagna hanno lanciato un concorso che premierà i consumatori più “attivi” con una fantastica giornata all’insegna dell’avventura.
“One Life to Live”, questo il nome del contest (…)
Il 5 settembre verranno estratti i vincitori degli Experience Days: un’intera giornata outdoor drive & climb. (…) Il tutto indossando il nuovo equipaggiamento ricevuto da ognuno dei partecipanti composto da giacca Zillertal GORE-TEX, t-shirt, pantaloni, zaino, imbrago e chalk bag”

Ne è passato di tempo da quando la pura passione era sufficiente a smuoverci dal divano verso uno scoglio o un bosco, ritrovandoci un po’ per forza e un po’ per caso fra accoliti – compagni di viaggio e di sentiero, nessuno veramente estraneo – pronti talvolta a dare vita anche in città ad un buco malsano in cui sfogare assieme un sentimento sotterraneo. La scalata stava già scivolando, per dirla alla Gobetti, “dal panorama al garage”, ma chiusi là dentro su noi stessi non ce ne saremmo potuti accorgere. Lentamente la passione s’incominciò a comprar coi soldi, “l’avere invase il campo dell’essere”, da Jonathan, dimensione avventura si passò alle fiere dell’outdoor ed il free climber si ritrovò con un orologione al polso piazzato sul mercato: non tutti i percorsi verticali sono uguali, quello originario era stato deviato. Complotti? Macchè, solo il maldestro tentativo di presentare una cosa per un’altra, potendola così meglio smerciare.
Da quando, in tempi più recenti, raduni e sagre dell’arrampicata tanto amichevoli quanto mercenari han preso piede, la strada che percorriam più di frequente è quella che ci porta al negozio; che non è più nemmeno la tappa fissa per la chiacchiera del Rockstore, dal momento che Finalborgo sembra diventata una specie di mini-centro commerciale.

Il concetto è chiaro, certi termini (per tacer degli inglesismi) vengono usati con disinvoltura: prima ancora d’esser praticanti, appassionati, amanti professionisti ed amatori, siamo visti e considerati tutti quanti in qualità di puri e semplici consumatori. Indi per cui esci, parcheggia e spendi, corri in montagna, arrampica consuma crepa!
Abbiamo insomma forse la risposta alla domanda che nei ’70 si poneva Gian Piero Motti: “Che cosa nasconde il formidabile aumento del numero delle persone che cercano la grande avventura in montagna?”
Quel che nasconde è quel che mostra: come le centinaia di cicche, di fazzolettini e di cartacce ai lati del sentiero, così in falesia al mare come sui bricchi in Val d’Aosta.
A voler rendere popolare la montagna, togliendole quel carattere elitario che non senza ragioni storiche talvolta viene denunciato, ci sta riuscendo paradossalmente proprio questo sistema mercantile. Ma invece di aprirla alle masse, gliela sta vendendo banalizzata: il che non corrisponde esattamente ad un passo avanti nella sfera dei diritti. Anzi, fa di più: quando vuole e può, con strafottente sfoggio filantropico, ce la regala.
Il pacco gara sta diventando un guardaroba intero, la dotazione completa dello scalatore; manca più soltanto l’assicuratore, non sia mai che lo forniscano assieme alla vettura. D’altronde non è nuovo il connubio commerciale: già abbiamo assistito all’impresa che Jeep & North Face fecero a Kalymnos, puntando su uno dei pochi luoghi ove si va a scalare a piedi, in bici o in scooter…poi a strizzarci l’occhio ci ha provato la Subaru.
Beati noi che abbiamo una vita da vivere (consumando), alla faccia degli sfigati che bombardiamo, che arrestiamo o che lasciamo annegare per punirli della colpa di non aver nulla da consumare. Altro che “sentimento “inclusivo””! Per quanto oggi alla portata di molti, la vacanza all-inclusive è exclusive per molti di più; e l’avventura e il viaggio veri li fan loro, noi fortunelli non siamo che servi di modelli e schemi preconfezionati e in qualche misura imposti: il Festival che riesce grazie ad una dieta “a base di prodotti italiani, (…) per “sentirsi a casa”” (porelli, confinati su Calimno e costretti ad ingozzarsi di calamari con la feta rischiavano il flop! Forse neanche il leghistalpinista sul Manaslu osò tanto), “la sacca porta magnesite che non può mancare nella dotazione di un climber”, altrimenti non sei nessuno…e guai a presentarsi in falesia con la mia squallida Punto grigia! “L’esperienza partirà con la guida della nuova BMW serie 2 Active Tourer per raggiungere la location in mezzo alla natura”, e che cos’è un climber sauvage senza BMW? Peggio di un rocker salvavite senza Louis Vuitton!

Sul rapporto fra i monti e il consumismo si sono espressi in forma critica diversi nomi celebri dell’alpinismo, da Messner a Camanni passando per Giovannini: sfidando l’idea servile di “un processo inevitabile perché tutto cambia”, proponendo “l’alpinismo come antidoto al consumismo e alla città globale”, e ricevendo l’ultimo una sequenza di commenti in rete tanto dementi quanto arroganti, da antologia della moderna inconsapevolezza.
Ma se l’alpinismo coi propri valori è duro a morire e ad esser trasformato, l’arrampicatore non ha scampo, è ormai spacciato.
L’“irreversibile degradazione” delle coscienze umane deformate dal potere dei consumi, già annunciata a suo tempo da Pasolini, è di fronte a tutti noi sotto forma di vera e propria “mutazione antropologica” che toglie senso al medesimo vendere e comprare, snaturandoli. L’inutile un tempo si conquistava, saggiamente poi ci si giocò; oggi lo compri un po’ per noia, un po’ per desiderio indotto e un po’ per ritrovarti comodo e integrato in sala boulder, dove ti muovi scaltro come al supermarket, in borsa o al casinò.
Ed io, che mi son sempre immaginato un climber privo di location, un contest senza winner? Potete anche pensarmi matto, ma mi sembra chiaro ormai che il business si sia ridotto all’abilità d’attrarre all’acquisto un climber, se non del tutto coglione, almeno un po’ distratto.

(foto tratta da Carmilla on line)

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