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Posts Tagged ‘divieto’

Per sfuggire ad un autunno ormai palese, vi racconterò di questo lontano e un poco strano, ma soave sabato finalese in compagnia di P – come Paolo, Pippo, Pino o Pinco Pallino. Elogio della cengia più o meno segreta, non più nuova e per alcuni già desueta, con assonnata dedica a chi fa l’arrampicata.
Lo considero un post rinfrescante, seppure sia più o meno sempre la solita minestra riscaldata.

05/08/2017. Agosto genovese. Caldo bestiale. Afa. Si dorme poco e male. Che fare: smettere d’arrampicare? Per carità! Raggiungo l’amico P a Savona la mattina, beccandomi comunque il classico traffico estivo, e si va dove si può andare, senza immaginarsi un gran fresco (che difatti non ci sarà), ma abbandonandosi alla necessità verticale, fra sudori e ghiri, rondini e resting (solo miei, a quanto pare).
La Rocca ospita il suo valoroso valorizzatore e aspetta noi umili giocatori, forse per deridere il nostro sforzo sovrumano; e noi abbiamo saputo aspettare lo scadere del divieto per via degli uccelli, con o senza che vi sian gli uccelli (chi lo sa: io diverse volte in cima uno bello grosso l’ho visto volteggiare), e sempre prendendosela con questi dannati uccelli se non si può scalare mai abbastanza nella parete che da questi benedetti uccelli ha preso il nome. O noi, o loro. Ma perchè?
Ancora non si arriva a chieder l’intervento del giustiziere verticale, ma presto vedrete che dovremo arrenderci all’esistenza di questi moderni, buffoneschi eroi.

La cengia è come un piccolo giardino pensile dove tutto ritorna in equilibrio (o quasi), ma dove qualcuno pensa di poter stare nascosto a farsi gli affaracci suoi. Non è così ed io prima o poi lo scovo questo furbo che continua a srotolare metri di nastro blu… Che sia proprio tu, dedito alla lettura? Cambia colore, è un avvertimento: spero di farti paura.
La cengia è un mondo altro, non ancora altopiano, ma già zona franca dalle bassezze della strada e del suo uomo. Lassù già si sta in alto e si comincia ad avvertire il sogno farsi un po’ realtà, il 6a 6b, il 6c 7a. Poi si confrontano le difficoltà sulla base del racconto orale, del local di turno quel giorno, delle diverse fonti; è un gioco appassionante pure questo. C’è il tiro che è passato dal 7a al 6c, quello che s’è assestato sul 6c+, quello che chi si tiene sgrada su Climbook a 6c.5 mentre gli altri lo gonfiano a 7a.2. Nutro la passione con la ricerca storica, più che con la statistica. Dall’on sight al lavorato al sesto giro c’è un mondo di sensazioni e di esperienze che è difficile da descrivere e da sintetizzare: per questo un grado da solo non ci soddisferà mai, o sarà l’ennesima illusione da archiviare. Lo stesso Ondra dovrà vedere prima o poi qualcuno camminargli sopra l’ultimo 9c proposto o confermato, sempre se non torneremo indietro a scavare ad ogni costo ciò che fu già liberato.
L’amico P fa spallucce sulla difficoltà e mi dice di provare. Lui sa meglio di me che il grado è poco se non nulla, e che come disse Seve “si cade anche sul 6c”: basterà questa consapevolezza a rianimarmi? Al primo stop sul primo chiodo, infatti, mi sento un po’ col fiato corto. La chiodatura, dal canto suo, non è certo lunga; tant’è, c’è chi l’ha definita “poco adatta ai deboli di cuore”. Nuovamente la testa e le ferite spiegan molto, ed è bello ritrovarsi a metà strada fra il patimento e l’entusiasmo, la paura e l’eccitazione una volta raggiunto quasi il chiodo dopo e già distanti da quello precedente: credo si chiami adrenalina e non è il caso di spiegarla, diciamo che si trema e ci si sente semidei, ed invece si è soltanto mezzi uomini piazzati a rana, con la cacca nelle mutande e le gambette tremolanti nel frangente. I rapaci ci osservano e le rondini ci sfrecciano vicino, a ricordarci che questa prima di tutto è casa loro, e del falco pellegrino; ma lo è altrettanto dei buffi roditori che dai buchi gridano la loro sete di vendetta allo straniero che gli entra dal balcone. Con quel bel musino, chissà se ci vedono come noi adocchiamo quegli sciagurati musi neri che ci arrivan col barcone.
Il litorale peraltro da qui resta nascosto, ma lo sguardo dalla cengia spazia egualmente, a nord, verso l’interno silente ed assolato degli ulivi, delle fasce, dei fichi, dei rovi; verso la vita apparentemente stanca e sonnecchiosa, ma in verità operosa delle vallate dell’immediato entroterra, che più del bagnasciuga spiegano dove ti trovi. Il resto è vita altra, d’altri e per oggi non c’interessa. Il nostro riparo è all’ombra del mondo esterno: parliamo con gli animali, strizziamo l’occhio ai volatili, nessuno ci capirebbe.
L’amico P intuisce che son stanco e mi conduce al nuovo vecchio settore, dove si stanno riprendendo antiche chiodature, donando nuova vita ad una piccola parete. La progettualità verticale in queste zone pare quasi infinita, giri l’angolo e scopri nuove possibilità o storie passate da recuperare, gesti da riprodurre. Che tutto questo non sia solo sport continua a essermi chiaro, o forse sono io che uno sportivo non mi sento più da anni, e proprio per poco sono stato atleta. Meglio così, perchè fra questi mostri più o meno sacri non mi troverei, e non concepisco che una passione possa diventare un primo o secondo lavoro, richiedendo la dedizione dell’asceta. Ma in fondo è quello che fa il chiodatore, sacrificandosi volontariamente per noi tutti, che lo ringraziamo solo raramente e assai più spesso lo critichiamo, esprimendoci a bestemmie ed a mannaggia.
C’è davvero poca gente oggi su questa cengia; il caldo ha trattenuto alcuni amici, e anch’io mi andrei a stravaccare in spiaggia. Ma salire fin quassù è liberatorio quasi quanto un tuffo in mare. Parlare, ridere, scherzare qui è possibile in totale libertà, disturbati solo dalle zanzare. I chiodi indicano la strada per raggiungere altezze superiori, delle quali troppo spesso dimostriamo di non esser degni. Allenarsi non basta, questo lo capii già al tempo in cui certi quarantenni con la panzetta mi passeggiavano davanti baldanzosi su gradi che i miei tendini adolescenti non potevan sopportare. Oggi so che per salire fin lassù bisogna innanzitutto saper sognare, secondi solo rispetto al chiodatore. Chissà poi se il suo sogno sia lo stesso mio, e se il nostro sia comune; forse la stessa strada può condurre diversi salitori lungo percorsi e verso mete differenti. Meglio così, che i sogni siano tanti, che ci tengano belli reattivi e svegli e indipendenti, che con tutto quello che ci accade attorno non rimangano a dormire od a sognare solo rocce tutti quanti.

L’amico P all’improvviso mi sveglia, immagino pretenda una sicura: devo essermi appisolato sopra un sasso accogliente, quasi morbido, dalla superficie grigio scura perfettamente piana. La vita appare più affascinante ridestandosi in falesia nel fine settimana.

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rixi_climberDi leggi sagaci e politici rapaci.

“Divieti di arrampicata per nidificazione sulle falesie liguri. SIAMO ALLA FOLLIA!” (Edoardo Rixi)

Presentarsi in politica da paladino degli scalatori sembra non porti fortuna.
Eppure Edoardo Rixi, già dai suoi riconosciuto coraggioso al limite della follia (“è un folle visionario. Ma un folle da slegare” scrisse di lui Il Giornale, così augurandogli una carriera alpinistica piuttosto breve), ci ha provato; finendo a malincuore coll’esser bidonato.
Peccato, perchè nel vertiginoso esporsi aveva approfittato per ergersi (senza richiesta: valore aggiunto) a nostro ardito difensore, combattendo a mani nude un divieto regionale irragionevole, ai limiti dell’impossibile.
Così, quando pensi d’essere il solo a mescolar confusamente politica ed arrampicata, scopri che c’è chi riesce a fare addirittura un’arte del prepararne una frittata.
Brevissima cronologia d’una commedia degli equivoci italiota tutta verticale: laddove ci s’attacca al nido del fringuello per piazzar cartelli e paletti, e ad abboccare è primo il corvo che chiede al merlo: ohibò, dove li metti?!

21 ottobre 2014
“La polisportiva dell’Outdoor del Finale, in collaborazione con la Provincia di Savona e il WWF, ha verificato sul territorio Finalese la presenza dei cartelli indicanti le aree di divieto arrampicata. I cartelli mancanti sono stati rimessi al fine di indicare in modo chiaro ai rocciatori le pareti sottoposte al divieto. Le zone di divieto di arrampicata sono il frutto di un accordo raggiunto negli anni passati tra ambientalisti e rocciatori al fine di salvaguardare gli ultimi potenziali siti di nidificazione di importanti rapaci rupicoli, come il gufo reale e il falco pellegrino.”

25 novembre 2014
“Ma perchè tanti divieti su attività comunemente praticate in montagna, e diventate motore dello sviluppo turistico in tante zone d’Italia? Pare si tratti di un’imposizione della Regione Liguria con provvedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale.”

16 dicembre 2014
“L’Amministrazione Comunale di Triora, in provincia di Imperia, ha emesso ieri una nuova Ordinanza Sindacale n° 95 del 15 dicembre 2014 con la quale si revoca la precedente ordinanza n.° 77/2014 pubblicata a seguito dei pareri del Comitato Tecnico di Valutazione di Impatto Ambientale della Regione Liguria.”

26 marzo 2015
“«Con questa modifica al testo di legge, di concerto anche con le associazioni ambientaliste, verranno individuati i periodi in cui non si potrà arrampicare e quelli in cui la pratica sportiva sarà permessa. Il divieto a prescindere era un paletto assurdo che ostacolava la promozione del nostro territorio sulla pratica degli sport outdoor».”

27 marzo 2015
“«Con l’approvazione di questo emendamento cade l’assurdo vincolo implicito che vietava agli appassionati di arrampicata sportiva di poter praticare questa attività sulle pareti di roccia perché “luoghi di nidificazione di rapaci rupicoli” (…) Penso che l’emendamento approvato oggi sia un atto di buon senso»”

Dall’accordo al concerto in pochi mesi, dunque: un vero prodigio delle note (diplomatiche). Nonché un dotato attore: abituato alle sceneggiate sui ponteggi (leggermente meno audace d’un Alain Robert, e privo della dignità di Luca Abbà), ed abile in particolar modo a recitar la parte della vittima del complotto (“E’ chiaro che tutti i poteri forti si scatenano contro di noi”), il leghistalpinista – sfidando in questo caso gli eccessi ambientalisti – s’è lanciato da spaventosa altezza in nostro aiuto, ed io qui lo ringrazio personalmente. Per la cronaca, però, da libero climber vorrei render noto che rappresentanze politiche ufficiali ad oggi non ne abbiamo, e aggiungo che non si sta male per niente, anzi: in caso di necessità, ce la caviamo benissimo da soli.
Se poi qualsivoglia autorità, ritenendola pericolosa o antisociale, intendesse vietar di nuovo la passione proibita verticale…faccia pure, e provi a presentarsi in parete con le transenne e il metro: si farà male, rizzerà le antenne, e finalmente più nessuno per secondo le andrà dietro.

Molti aspetti dell’arrampicata odierna sarebbero da rivedere, e quasi tutti hanno a che fare con la consapevolezza al tempo stesso individuale e collettiva di tale pratica: con il cosa, il come ed il perchè; anche rispetto a quel che ci circonda. Ma nel paese della legalità presunta e del certo nonsenso si sta invece sempre fermi all’io sì e tu no, al chi può e chi non può, alle ragioni ed alle concessioni dei più vari poteri od organismi semiseri.
Lo shock da divieto assurdo ed improvviso è comprensibile, ma ha tanto a che veder con la follia quanto lo ha la sicurezza del dar sempre la libertà verticale per scontata. Nessuna libertà lo è: bisogna combattere per conquistar la propria, badando di non sconfinare in quella altrui. Peccato che a certuni piaccia intendere la questione come un affare di confini, di filo spinato, di frontiere, di muri e sbarramenti ad evitar brutti rapporti coi vicini.
Laddove non c’è naturalmente rispetto reciproco spunta purtroppo il divieto, e più ottusi degli schiavi d’una passione son soltanto i servi di un sistema di potere che si propone di regolare le passioni per garantirsi l’autoconservazione.
La posizione della Lega Nord sull’argomento qui trattato è peraltro assai parziale, dal momento che il partito difende platealmente la lobby dei cacciatori.
Ora, che pure fra gli arrampicatori abbondino le teste di cazzo è cosa nota, ma piuttosto che rischiar di ritrovarmi a far parte d’una comunità che si fa parare il culo da una banda composta da simili figuri – amanti della caccia indistinta a volatili, zingari, migranti e lavavetri – preferisco mettermi direttamente dalla parte degli uccelli, quelli veri: che vivono in libertà senza doverla comprendere e normare, mentre noi corriamo dietro ai folli, agli allocchi ed all’arrampicata da emendare.
Insomma, se già non ci piaceva la scalata odierna dei furbetti, delegata ad avvocati e giudici…figuriamoci quella regolata dai politici!
Ma poi, Dio lo volesse che qualcuno finalmente mettesse l’arrampicata fuorilegge: allora, col divieto, si vedrebbe chi scala dentro e chi fuori dal gregge.

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