Pensavo d’associare questo titolo al recente scempio compiuto da ignoti su Moon Runner: ma di esso s’è già detto in più maniere, e cos’altro resta da chiarire ancora se non che la scalata – 9b o no – sia in disfacimento culturale e morale, così come più o meno tutto il resto?
Punto allora altrove, anche se lo scenario resta pur sempre questo.
Se il climber non va al negozio, è il negozio che va al climber: sino a ieri, tutt’al più, raggiungendolo in palestra; oggi, inseguendolo sino in falesia.
Già lo avevo scritto qualche tempo addietro, in occasione d’un gazebo di scarpette un po’ sfigato piazzato sotto il finalese Monte Cucco, che “il negozio oggi ci insegue biecamente anche in falesia, dove l’acquisto è occasione di festa, simpatica agevolazione che nessuno teme”.
Ebbene, debbo prendere atto mestamente che ancora una volta ci risiamo: del produci, consuma, scala è stato piantato più d’un seme, e la pianta inizia adesso a dare frutti: ma il motto “scalate e moltiplicatevi” che andava in voga nei ’90 carichi di chiodi quale senso intendeva avere? Quello d’una evoluzione o d’una involuzione umana? Quello della scoperta elettrizzante d’un universo in espansione oppure d’una omologazione rassicurante, d’un adattamento alla normalità di un’attività altrimenti considerata strana?
E c’è di peggio, perchè il tutto temo trovi l’approvazione d’una comunità oramai assuefatta ai doni ed alle bizze del mercato, che non so più se rispetto, odio od amo, e neppure se mai dentro davvero ci son stato.
Dopo aver desiderato il pacco gara, inseguito i saldi, fatto carte false per farsi sponsorizzare, l’arrampicatore del nuovo millennio – da spirito libero che era (eppure son proprio tali spiriti che, per quanto evanescenti, egli continua retoricamente a celebrare) – ha ceduto infine al libero mercato ed ai suoi scherzi da prete, che ci porteranno a strisciare il bancomat perfino in parete.
Messa poi la corda in spalla come ai bei tempi andati, la sacca apposita fungerà da comodo shopper, e potremo rientrare a casa soddisfatti e riposati, dopo aver forzatamente prodotto in settimana e liberamente consumato nel weekend fra rocce-stand e negozi-prati.
(foto tratta da Liguria Verticale)
Segnalo il commento nel merito da parte dell’amico Donde, che nel descriver questa parte più propriamente commerciale dell’evento la descrive bonariamente come un ottimo modo per fugare dubbi e perplessità del consumatore:
“Un’ultima cosa da segnalare, che ha funzionato davvero bene: la prova materiali in falesia organizzata da CPR FREE SPORT, scarpe La Sportiva, e corde e imbraghi Petzl; sembra una banalità, ma è una sperimentazione davvero efficace, che aiuta davvero a rimuovere tante palle e dubbi per la testa, testando direttamente con mano (o meglio con piede) i materiali. Poi ognuno fa le sue scelte, ma almeno si è capito bene di cosa si tratta.”
La libertà di scelta dei consumatori è una panzana con la quale riempiono il cervello del “nuovo esempio di uomo e di donna” che Ballard ben descrive quali schiavi dello “strumento migliore mai inventato per controllare le persone”. E la prova materiali ha in realtà la stessa funzione psicologica ingannevole e omologante del pacco gara.
Capisco che possa ancora esistere la figura del piccolo commerciante amico del cliente (ne conosco anch’io, per fortuna), ma qualcuno forse ancora crede che il mercato esista per noi, mentre è l’esatto opposto: siamo noi a servire al mercato – già lo scriveva Adorno nei ’60 che “Il consumatore non è sovrano, come l’industria culturale vorrebbe far credere, non è il suo soggetto bensì il suo oggetto”.
Prova ne sia il fatto, ad esempio, che non è stato il climber a poter chieder di provare quale prodotto e di quale marca: la scelta era limitata, e molto. Prova ulteriore ne sia il fatto che perfino la scarpetta più bella, più performante e più venduta – quella che finalmente hai capito esser la tua -, dopo un po’, per indiscutibili ragioni di marketing, va messa fuori produzione (mica nessuno chiede il mio parere…), e magari sostituita da scarpacce inqualificabili, ma dai colori sgargianti; cosicchè a me tocca acquistar decine di paia del vecchio modello, racimolandole un po’ dappertutto fra la rete e l’invenduto, pur di poter continuare a scalare come mi pare, foss’anche con la Mariacher con cui c’è gente che a suo tempo ha salito dell’8b mentre noi oggi siam solo in grado di farci mille assurde menate su dettagli tecnici iper-specifici, benchè del tutto irrilevanti per la nostra modesta pratica, affogando la nostra egocentrica inutilità di pseudo-atleti nella bestialità della prova materiali: avanti un altro!
Ma se son state inventate le gare apposta per misurar le qualità oggettive degli atleti, perchè non farli scalare allora tutti quanti con le stesse babbucce? Si agevolerebbe in questo modo una competizione più equa ed un risultato più…calzante.
Noto con piacere che l’argomento ha suscitato un certo interesse, nonchè un dibattito intrigante, all’interno del Forum di Planetmountain.
Fra i tanti interventi leggo con particolare irritazione quelli di tale Kinobi, di professione “venditore”, il quale non perde l’occasione per fare promozione (possibile che nessuno glielo faccia notare?) ed è convinto che fare le prove del materiale ai banchetti o gazebo montati in giro per le falesie sia un po’ come “guardare il culo alle ragazze”: una forma di gratuità conveniente e libidinosa.
Tanto per cominciare si contraddice senza neppure accorgersene, dal momento che – come egli stesso scrive – “Provare la roba, è utilizzo” mentre con le ragazze altrui conviene rispettare la regola del guardare ma non toccare.
Poi far pratica con certi oggettini, corde e cordami non è roba per tutti…ed è pericoloso tanto quanto l’alpinismo! 😉
Infine riesce a considerare che i banchetti non sporcano, non gridano, non dicono le parolacce. Però i venditori, valuto io, loro sì che ne dicon di cazzate.