Continuiamo ad occuparci con disgusto della cronaca inerente il cosiddetto mondo del lavoro: che in questo sistema è una galera ricolma di aguzzini.
Si fa passare, in questo minuscolo caso, uno schiaffetto (presunto, peraltro) come un crimine, o comunque un errore grave, quand’è tutt’al più considerabile come un benvenuto sussulto di dignità da parte della classe lavoratrice dinanzi ad un comportamento, quello sì, da criminali in doppiopetto.
Non so se stiate leggendo le cronache quotidiane della crisi post-crisi, quella che si dice finita, ma tant’è…per chi lavora finita non è.
Il massacro sociale – fra sempre più morti e licenziamenti (a Genova nei prossimi mesi ne sono previsti oltre un migliaio) – si dà per scontato, la lotta di classe alla rovescia pure, e si continua maldestramente a giocare in difesa per poter permettere a chi non fa che attaccare di continuare a vincere.
Ripartiamo invece da questi piccoli strappi alla pace sociale, che infastidiscono non poco lorsignori – qualcuno ricorderà la pesantissima, sproporzionata repressione seguita al ‘linciaggio’ (una giacca strappata) del manager Air France; ma anche il ‘linciaggio’ mediatico all’autrice della bruciatura alla giacchetta di Bonanni – per iniziare un nuovo percorso di lotta che ci faccia ritornare uomini prima di concepirci come lavoratori.
Non vuol esser certo questo un invito alla violenza, quanto piuttosto a ripensare il termine cominciando finalmente ad accorgersi di cosa vada davvero definito come tale. Ribaltare la narrazione padronale è il primo passo essenziale ad una rinnovata comprensione delle cose del mondo; altrimenti anche il lavoro, come l’allenamento, si riduce ad un girare in tondo di criceti, ad un ricevere continuamente schiaffi senza mai la pausa risolutiva d’un momento. Sta di fatto infatti che le costose giacche a lorsignori le permette il nostro sfruttamento.